Il 19 marzo rientro da lavoro alle 21.00. Finisco il mio turno e parto.
Per strada, nel tragitto che separa la sede lavorativa dalla città in cui vivo, non incontro nessuno, se non qualcuno che forse, come me, rientra da lavoro oppure vi si reca.
50 minuti in macchina,il tempo che impiego per tornare da Roccagorga a Fondi. Si, proprio Fondi! Avete letto bene! Da qualche ora, appena dichiarata "Zona Rossa" e finita su tutti i Tg nazionali. Improvvisamente infatti, la mia città è diventata oggetto passivo di quella pericolosa deriva comunicativa che tanto distorce la realtà che certo non aiuta e di cui abbiamo parlato in un recente corso di formazione tenuto , neanche a farlo a posta, proprio a Fondi dalla Cooperativa. La cattiva informazione unita all'ignoranza di molti, ne hanno fornito , in brevissimo tempo, una rappresentazione drammaticamente grottesca, come se questi luoghi fossero soltanto quelli del Coronavirus o del Mof, causa di tutti i mali.
A poco serve pensare che proprio grazie al Mof, tanta frutta e verdura può ancora arrivare in tutta Italia, ed ancor meno serve ricordare che Fondi è la città di Giuseppe De Santis, Giulia Gonzaga, di Purificato e di De Libero. L'informazione vuole il suo scalpo e adesso ce l'ha.
Se mi dovessero chiedere cosa si prova a vivere in una zona rossa, la mia risposta sarebbe molto semplice: per la prima volta ho visto negli altri la paura, paura del prossimo, paura di me, si! Questo ho provato, questo si prova. Io che da sempre, con sacrificio e dedizione, svolgo una professione, quella dell'Educatore Professionale, alla quale ho dedicato i miei studi, i miei anni migliori, il mio tempo più prezioso, le mie forze, la mia passione. E così, io che negli anni ho cercato di spiegare ai miei ragazzi cosa fosse la paura, io che ho provato ad insegnare loro a non averne, sono dovuta restare a casa per per la paura. Degli altri.
Infatti, pur potendo muovermi ed uscire per lavoro dalla "zona rossa" , essendo stata la mia professione inserita tra quelle "essenziali" nei recenti DPCM, ho responsabilmente concordato con i colleghi un periodo di isolamento fiduciario prima di tornare in servizio.
Per dovere e rispetto verso gli utenti presenti nella struttura socio educativa in cui lavoro e verso i miei colleghi.
Quindi, il 30 marzo, indosso "l'armatura" fatta di guanti, mascherina, igienizzante e dichiarazioni, quella mia e quella del datore di lavoro, Massimiliano, Presidente della nostra Cooperativa e parto. Stavolta non per Roccagorga ma addirittura per Bevagna (Pg). Serve una mano nella "cabina di regia" dove ci sono gli uffici amministrativi di Utopia 2000, all'interno del nostro Agriturismo e dove si sta coordinando il lavoro di tutte le nostre strutture residenziali durante questa fase emergenziale.
Li ci sono i miei colleghi dell'Amministrazione, perché così li chiamo, né capi né in altro modo...colleghi. Siamo una Cooperativa, siamo una squadra e quando l'obiettivo è comune e, soprattutto, le menti sono aperte, non si può fare altro che un buon lavoro! Che lavoro ragazzi! e che progetti nuovi nasceranno da questo strano periodo! Faccio visita in quei giorni alla struttura "Genitore con Bambino" di Gualdo Cattaneo (Pg) "Nemo e Dory", Gli utenti sono diversi rispetto a quella di Roccagorga ma la paura per il contagio è la stessa.
La mia permanenza in Umbria è durata poco, solo 6 giorni. Stretto contatto con la natura, con la terra, con tutti quegli elementi e quelle cose che non sono materiali, ma sono pulite. Sembra essere in un'altra realtà in un certo senso. Liberi di parlare di progetti, nuovi e vecchi, di esperienze, di lavoro.
Come detto, 6 giorni non sono abbastanza per dare "pace" ai propri pensieri...ritorno nella mia Fondi, solito blocco. Il carabiniere al varco ormai, sembra conoscermi. Rientro al lavoro solito, lunedì 6 aprile. Sono in turno a Roccagorga, nella Comunità "Zagor". Apro la porta, mi sono mancati tutti. I ragazzi dovrebbero stare almeno ad un metro da me ma non è così semplice, non è nemmeno semplice spiegargli e fargli capire perché indosso una mascherina e un paio di guanti in lattice. Non è facile per me, figuriamoci per loro. A fine turno, dopo una giornata piena, intensa, torno a casa e nel tragitto spero e penso di non aver incontrato l'alito del mostro, di non portarlo addosso a casa, dove ci sono loro. La mia famiglia. Tutto questo lo si fa per scelta. La scelta di fare l'Educatore Professionale. Anche ora in pochi ci menzionano.
Noi che testardamente ci auto - certifichiamo e andiamo per strade desolate. Come sempre, anche oggi mi fermano al varco, dove ci sono i militari che mi aspettano, mi fermano, controllano e mi augurano buona giornata!