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Al Bar da Rino

2019-12-05 14:38

Franco Abbenda

Musica,

Al Bar da Rino

“….e vado dal Barone ma non gioco a dama, bevo birra chiara in lattina, me ne frego e non penso a te”

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AlBar da Rino Nonso bene perché, ma se dovessi immaginare un posto, un contesto incui Rino Gaetano trovava l’ispirazione per le sue canzoni, direisicuramente un Bar. PerBattiato mi verrebbe da pensare più ad un museo mediorientale, perDe Gregori ad un cinema d’essai,per De André alle stradine del porto di Genova.Nelquartiere Montesacro a Roma, in Piazza Monte Baldo, là dove ora c’èuna pescheria, negli anni ’70 c’era il BARDEL BARONE,il posto dove passava interminabili giornate un giovane Rino Gaetano. 
"....evado dal Barone ma non gioco a dama, bevo birra chiara in lattina, mene frego e non penso a te".(Tu,forse non essenzialmente tu - 1974).
Misembra di vederlo quel bar dove Rino, figlio di emigranti diCalabria, cominciò a frequentare i primi amici romani ed a sognareun futuro da cantante. Un posto semplice, dove il fumo delle millesigarette non lasciava intravedere certo "ilcielo sempre più blu":un bancone da un lato col barista a servire caffè, sambuca o VecchiaRomagna, gli anziani da una parte a giocare a carte ed i più giovania smanettare rumorosamente su flipper e bigliardini nell’angolo làin fondo. Quelbar lo immagino frequentato da gente normale, un luogo veramentepopolare come - forse- oggi non ce ne sono più, un punto di ritrovo dove si poteva andareanche senza invito. C’era spazio per tutti: lavoratori, disperati,illusi, emigranti, studenti, banditelli, disoccupati, delusi...unmondo rigorosamente al maschile, o quasi...dove solo una coraggiosaGianna osava irrompere "asostenere tesi ed illusioni ed a promettere pareti e fiumi".Mipiace pensare che lì Rino abbia potuto incontrare e conoscere"Agapitoil ferroviere di buona educazione e spirito cristiano","l’emigrantepartito con le provviste e la fotografia di Bice","Micheleo pazzo che ammucchia gli stracci dentro a un cartone","illui vestito di chiffon e col baffo biondo ben curato","ibulli di quartiere, beati perché non sanno ciò che fanno"e tanta altra "genteassurda con le facili soluzioni". Luiascoltava tutte quelle voci, ognuno impegnato a raccontare unepisodio della sua storia personale o il punto di vista sugliargomenti di attualità, un dramma privato o la speranza che aiutavaa rimanere a galla. Fuin quel bar, per esempio, che Rino incontrò Bruno Franceschelli, unodei suoi più grandi amici. Si racconta che una sera come millealtre, Rino stava martellando il suo amico con chiacchiere senzasenso, tempestandolo di scherzi a raffica e narrazioni strampalate.Dopo un po’, pare che il povero Bruno, sfinito daquell’instancabile rompiscatole calabrese, se ne sia uscito,romanescamente parlando, con un: "Emó basta Rino, nun t’areggo più!!"Ilgiorno dopo Rino chiama il suo amico e gli fa ascoltare gli accordied il testo della sua nuova canzone, scritta quella notte stessa: Nuntereggae più. Sonovite da bar. Più o meno le stesse vite, le stesse persone, le stessefacce che avevano ispirato anni prima Gaber al Bar del Giambellino oche a Correggio riempiranno anni dopo il Bar Mario del primo Ligabue.Rino amava immergersi in quell’umanità varia, ascoltava i dialoghispesso improvvisati e strampalati, zoomando sugli sguardi e sullepassioni più veraci delle persone, trovando così il materialeideale per la sua narrazione. Poi tornava a casa, ripensava a queivolti ed alle voci naive,prendeva il suo quaderno e (miverrebbe da dire pasolinianamente) cominciavaa scrivere i suoi testi, colorando le storie a modo suo edambientandole nella sua lontana e mai dimenticata Calabria. Quindirileggeva, passava in bella copia e cominciava il lavoro piùmusicale con la chitarra, cercando per ognuno di quei testi ilvestito più adatto da cucirgli addosso, regalando a tutte il suoinimitabile stile da cantastorie moderno. Ascoltandooggi le sue canzoni possiamo ancora immaginarlo seduto in quel bar,col suo bicchiere di spuma o di birra, sorridere ironicamente - avolte frivolo, a volte più sarcastico -, mentre ascolta gli sfoghi"dell’operaiodella Fiat","delfiglio unico sfruttato, represso e calpestato","di chicorre sempre appresso all’ambo". Eccolo lì a gustare quelle storie minori per trarne canzoni daraccontare, sempre rispettoso delle persone ma con briosa sagaceironia. Quell’ironia"arma in più" cha lo aiutava a coglierel’essenziale delle cose, le contraddizioni del mondo, che gliforniva la chiave di volta per regalare vere poesie da cantare conpassione, dolcezza o rabbia..."Rinogaetanamente".

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  Franco Abbenda

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